Omelia di S.E. Mons. Luigi Negri – Cattedrale di Forlì
Carissimo Claudio è venuto alla fine il momento, anche per te, di inoltrarti sull’ultimo ponte che ci avevi evocato in una delle tue più belle canzoni. Quell’ultimo ponte nel quale il tempo è alle spalle e la vita è di fronte. Quell’ultimo ponte nel quale ciascun uomo che crede è costretto a credere di più alla mano misteriosa e quasi impercettibile che lo stringe, a credere di più a questa mano che non a tutto lo sgomento, la paura, la lacerazione, il disagio della vita che sembra fuggire. Noi sappiamo, carissimo Claudio, che tu hai vissuto in prima persona quello che hai cantato e ci hai insegnato. Per questo ti guardiamo oggi nella pace infinita del Signore Gesù. Come ha detto il Papa della prima e della più grande cristiana, Maria di Nazareth, e perciò analogamente deve e può essere detto di ogni cristiano: “Non se ne è andata per stare lontana, se ne è andata per rimanere con noi”. Noi professiamo questa mattina, nella limpida formulazione della comunione dei Santi, la tua permanente presenza in mezzo a noi con la grandezza della tua testimonianza e con il cammino faticoso e lieto che hai vissuto lungo tutti gli anni della tua così sostanzialmente breve esistenza. Dio ti ha fatto un dono immenso. L’arte è il dono più grande, che l’uomo può ricevere, la capacità di dire in modo indicibile il cuore della vita. Un carisma straordinario l’arte, questa via privilegiata al vero, al bene, la via in cui l’uomo si sente capace di arrivare fin quasi alle altezze del Creatore. E per questo è un carisma altissimo e pericoloso perché può essere fonte di un’autonomia che elimina il Mistero. Tu non hai corso questa tentazione perché hai deposto questo carisma nel grembo del Signore, della Chiesa, cioè l’hai affidato a don “Gius”. E in questo affidamento, in questa obbedienza il tuo carisma artistico è diventato una testimonianza e un servizio di cui generazioni intere hanno potuto godere ed usare, come ha già così opportunamente sottolineato il vicario generale di questa diocesi. È questa obbedienza che ha reso la tua arte più arte, che ha reso il canto più canto, che ti ha reso, come tanto volte ti ha ricordato e ci ha ricordato don Giussani, il grande poeta e il grande cantore della fede del nostro popolo. Tu hai cantato con noi e per noi il mistero della vita, il mistero del cuore umano, della sua grandezza, della sua tensione al vero, al bene, al bello, al giusto, hai cantato la grandezza e la miseria. Perché il cuore umano è grande e misero e dal fondo del cuore umano contraddittoriamente nascono tutte le tensioni, le lacerazioni, le riduzioni, le meschinità. Ci hai fatto sentire e vivere il nostro cuore, questa cosa indistruttibile che ci accomuna al mistero di Dio e che ci fa camminare verso il mistero di Dio in un impeto che ci porta subito oltre noi stessi, come ci ha insegnato “Il Senso Religioso” e come riecheggia nella grande formulazione che solo Blaise Pascal ha saputo dare: “L’uomo supera infinitamente l’uomo”. Hai cantato il mistero del cuore umano, ma hai cantato il mistero dell’incontro fra Cristo e questo cuore. Perché questo cuore è salvato, di questo cuore si è fatto carico lo stesso Figlio di Dio fatto uomo, perché questo cuore è stato associato a quel cuore, che, come dice Benedetto XVI, ha amato gli uomini con un cuore umano, con il cuore di Gesù di Nazareth. Hai cantato il mistero di Cristo con accenti di certezza assoluta e di tenerezza infinita. Hai cantato il mistero del suo popolo perché il mistero di Cristo che incontra l’uomo vive e continua nel mistero del popolo e di questo popolo tu sei diventato come una presenza necessaria. Si è stabilito, e i più vecchi come me lo possono testimoniare, fin dagli anni degli inizi del Movimento un contrappunto fra ciò che Giussani diceva, richiamava, ci insegnava, qualche volta contro noi stessi perché non capivamo, reggendo la barra della nostra compagnia con quella fermezza assoluta che si coniugava con una tenerezza infinita, e le sue parole rivivevano come contrappuntate dai tuoi canti e nelle tue canzoni. Così nel tuo canto e nella tua canzone la parola del Signore che ci arrivava attraverso don Giussani diventava, come dire, più comprensibile, meno dura. Ma d’altra parte l’imparare il discorso e il seguire la presenza autorevole e indiscussa e indiscutibile di don Giussani ci faceva cantare con più orgoglio, con più forza, con più vivacità le tue canzoni. Questa circolazione preziosa fra discorso e bellezza, fra pedagogia e arte è stata la grandezza delle nostre generazioni. Siamo cresciuti per questo contrappunto misterioso fra il vero e il bello, e il vero si diceva della bellezza, “splendor veri”, ma la bellezza guidava al vero perché l’unica grande ragione del bello è portarci all’orizzonte in cui si intravede colui che solo è bello, il Signore. Questo abbiamo vissuto insieme. E io devo ringraziare più di tutti gli altri te, fratello e amico, perché l’amicizia che il Signore ci ha donato di vivere è andata al di là di qualsiasi previsione e, almeno da parte mia, di qualsiasi merito. Hai stabilito soprattutto negli ultimi anni, libero dall’impegno della scuola, una trama di amicizia e di carità che ha come segnato la vita del Movimento, dei momenti ultimi e centrali, delle piccole come grandi comunità, delle gioie e dei dolori delle singole famiglie. E molti ti hanno visto presente, al loro matrimonio, ai loro battesimi, ai loro funerali, presenza della grande misericordia del Padre, della grande certezza del nostro popolo là dove i momenti sono, o grandi per la gioia, o terribili per il dolore. Quasi moderno trovatore, come di quelli che nella grande età cristiana nel Medioevo passavano di comunità in comunità per riempire di canto tenero e forte, fedele e grande della grandezza di Dio. Hai steso una rete di amicizia e di carità: facitore di pace, tante volte me ne sono accorto, arrivando dopo di te o arrivando prima logisticamente. Io non ero un trovatore, ero un operaio, umilissimo, nella vigna del Signore ma vedevo. e l’ho visto tante volte. che la tua presenza metteva pace. Per questo è grande la nostra gratitudine e commozione perché è la gratitudine di tutto il popolo e la gratitudine di ognuno che vive in questo popolo. C’è la notte. C’è la notte della morte del Signore e c’è la notte della tua morte. Ma c’è il giorno della Resurrezione del Signore e c’è il giorno della tua Resurrezione che è già iniziata. Noi siamo in questa notte con la certezza del giorno e ci identifichiamo davvero in quell’ignoto centurione romano a cui la Chiesa ha affidato la prima testimonianza della fede in Cristo, crocifisso e risorto. Perché, vedi Claudio, quando muore un uomo si lacera il Corpo di Cristo perché tutti gli uomini, tutti i cristiani e tutti gli uomini fanno parte del Corpo di Cristo, perciò noi vediamo questa lacerazione che è la tua morte. Più di tutti noi vedono e sentono questa lacerazione Marta e i tuoi figli: è una lacerazione che ci spacca quasi in due, ma noi vogliamo essere come il centurione romano, vogliamo guardare “dentro” a questa lacerazione e come lui vedere al fondo di questa lacerazione il volto di Dio, che rende buone tutte le cose. E per questo noi crediamo e preghiamo che questo dolore immenso che portiamo diventi, per tutti noi, la strada di una fede più grande, di una carità più vera, di una missione ancora più irresistibile. E così sia.
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